Quaderno “Senza volto” 2001 – cm 70 x 100
Quaderno “Senza volto” 2001 – cm 70 x 100
Quaderno “Senza volto” 2001 – cm 100 x 140
Ora alle sempre amate pitture nere, mi affascinano i primi quadri con anche gialli che arrivano da una galassia lontana del sogno, dell’Irreale.
Non c’è catastrofe nel mio lavoro. C’è una perentoria autodistruzione. Distruzione dell’arte. Distruzione della pittura. Diventare antipittura.
Non sono schiavo di un’idea più o meno giusta. Sono schiavo della mia solitudine e della mia eterna contemplazione innalzata a una forma di difesa dal mondo, dalla realtà.
7/8/1996
Mi piace, amo soprattutto scrivere questi diari segreti nei quali non esiste tempo, regole, limiti. E’ il lavoro più importante che io faccio da sempre.
Ho tentato tante volte di fare emergere dall’inconscio un’immagine che potessi definire crocefissione. Ho sempre fallito.
7/6/2001
All’inizio ero ossessionato dal bianco (spazio vuoto, vuoto dell’anima). Spaventato da quel vuoto.
Portando tutto al nero pieno, rimasi nella disperazione di fronte a un fallimento fisso certo.
Oggi dopo tanto fallimento riscopro il bianco nella sua totalità, ed è come riemergere e sprofondare di nuovo nell’assoluto sospeso.
L’elemento più personale del mio “fare pittura” è la scrittura. In realtà mi interessa di più esprimermi con la scrittura che con la pittura.
Della figura umana mi interessa il corpo e non il ritratto. Il corpo che nel suo movimento tenta di uscire da se stesso cercandosi e tenta di uscire dallo spazio tela in cui è rinchiuso.
In verità amo più Giacometti di Bacon e di tutti gli altri espressionisti del mondo e di Picasso stesso. Quello che sempre più mi ha colpito di A. Giacometti è la sua oltranza filosofica: oltre la pittura.
L’uomo che cammina di Giacometti.
L’uomo che cammina, il mio senso autobiografico di “essere” in movimento senza dimora, senza fine, questo movimento che gira dentro, a volte a vuoto.
Io non sono nessuno, guardo il mondo, mi domando molte volte chi sono, cosa sono, cosa voglio, cosa cerco. Non riesco a dare un ordine alla mia vita, al mio senso, alla mia filosofia. Fino ad oggi niente ho fatto. Il cammino che cerco di intraprendere non mi lascia via d’uscita, e come la sabbia che mi trascina mi sento perso, spaesato, stanco e vuoto.
Ho necessità fisica di comunicare con il mondo, con gli uomini. Ma mi ritiro come se volessi fuggire. Ho paura.
Ho voglia di annullare tutte le immagini per arrivare alla nuda essenzialità.
Quaderno “Senza volto” 2002 – cm 70 x 100
Settembre 2001
Nell’uomo che cammina di Giacometti. Orizzonte e arrivo non esistono mai. Non l’angoscia dell’arrivo o il privato del tempo.
Nel mio uomo che cammina c’è il pensiero ininterrotto, privo di assoluto: un atto continuamente temporale e impotente.
Nel lavoro di Giacometti il cosmico dell’uomo è nella testa, nel suo infinito enigma.
Per me il cosmico è legato a un corpo senza testa e senza volto, destinato a perdersi, e vagare e camminare.
Penso sempre di più incessantemente a un senso di “Deserto”. Deserto. Il mondo, la visione, lo spazio riportato a un’essenza di Deserto ampio, immenso, dilatato, infinito. Lo spazio piccolo della visione che diventa la vastità del mondo cosmico. E dentro in cammino o in attesa l’immagine della figura.
Non so nulla di me. La vita e l’arte, la scrittura, la poesia e il nostro senso del respirare. Io vivo ecco perché dipingo.
Io sono inutile. Mi piace la voce del silenzio.
Riflessione, silenzio bianco. Disimparare la pittura. Scrivere nella primordialità.
Ritornare alla pittura attraverso il pensiero, la scrittura.
Novembre 2004
Non avere paura
se sei un filo
d’erba.
***
Oltre il corpo oltre il silenzio.
Assoluto. No.
Sarei un falso se non capissi che il mio lavoro
è senza una fine, senza un arrivo,
lontano da una verità assoluta.
Quaderno “Navigare l’incertezza” 2009 – cm 70 x 100
Venezia 2009
Tutto è fuggito
Tutto è stato dato
Innalzatemi sul rogo
La festa è finita
Le lampade si spengano
Voracità
Mondo
Il corpo sul sedimento cosmico.
Nascere Morire Vivere
nella Vitalità.
Ascoltare.
Il nulla.
Sentire.
E dimenticare di sentire.
Forse sono.
Sempre.
Abbandono uno spazio pratico
per uno spazio illusorio.
Per uno spazio sospeso.
L’incertezza della vita.
Il male del mondo non avrebbe senso
senza il pericolo di incertezza
non avrebbe nessun senso.
Il miracolo di arrivare ad un punto
nel punto che ci spingiamo
che ci inoltriamo dentro ad un desiderio (Desiderio di infinito).
Tocchiamo il miracolo di essere vivi, di essere nella vita. Al di là della morte…
Ritornare ad una primordialità ordinaria, quotidiana, disinteressata.
Il rosa è un colore che mi appartiene da sempre. E’ il colore della tenerezza che si contrappone ai colori della brutalità. Il mio lavoro si muove sempre tra questi due poli: la delicatezza e la violenza. Ma mentre la violenza l’ho sentita subito come mia cifra espressiva, la delicatezza è invece affiorata con la maturità. Anche da giovane avvertivo che il rosa era un colore che mi apparteneva profondamente, ma in quegli anni quando mi capitava di usarlo alla fine distruggevo sempre i lavori, perché sentivo di non essere ancora pronto. Non mi sembrava di avere la sufficiente lucidità per usarlo. Oggi invece lo sento come un modo compiuto di lavorare sul corpo.
Quaderno “La soglia” 2009 – cm 70 x 100