Le opere di Habicher sono la sintesi di una delicata dicotomia. Da una parte vi è il processo mentale e ideativo, dall’altra la continua sperimentazione quasi ingegneristica basata su calcoli.
Il confronto diretto con materiali come ferro, legno combusto, vetro e il relativo studio dei loro limiti e possibilità, porta l’artista a creare composizioni armoniche e calibrate.
Come arrivi all’equilibrio delle forma e dei materiali?
Mi piace accostare materiali diversi, rapportarli tra loro con il solo fine di creare un’opera che sia simbolo di equilibrio e completezza. La scelta di creare un dialogo tra soggetti diversi è ricollegabile al desiderio di rappresentazione della vita reale. Dialogo come espressione di vita. La materia diventa altro, cambia, si trasforma e assume nuovi significati, mantenendo però la propria identità e la propria origine. È in questo concetto che si racchiude il paradosso della scultura: attraverso una materia bruta si può arrivare ad esprime valori spirituali. Non è come il suono, che è etereo e leggero, che si presta alla trasmissione di un’emozione, di una sensazione; la scultura è dura, è concreta, è terrena… ma nonostante questo riesce a emozionare.
Gli ambienti, i pieni e i vuoti nelle tue sculture sono determinati da un materiale insolito all’arte plastica. Come sei arrivato alla putrella?
La putrella è solida e monolitica, è l’elemento portante, sicura e resistente. È un prodotto industriale con un’impronta fortemente ingegneristica: è un esempio di razionalità, tramite calcoli e misure sono stimabili il peso, la portata a la deformazione. A me piace aggiungere un elemento ludico e creativo, un aspetto non calcolato, non razionale. Creo sculture attraversabili, veri e propri disegni nello spazio, stringhe di energia: segni contemporanei che abitano le città.
La putrella è flessibile, definisce con la sua linearità dei volumi precisi, li definisce senza però riempirli, lo spettatore può entrare dentro lo spazio, dentro la scultura, attraversarla, toccarla, sentirne la forza compressa…
La putrella dunque diventa una linea flessibile, una sorta di nastro che determina le forme?
Si! Diventa un codice linguistico nuovo, derivato dalla commistione tra razionale e irrazionale, tra calcolo e improvvisazione, tra precisione ed estro creativo. L’arte è riflesso della vita, entrambi sono frutto di un bilanciamento tra razionale e irrazionale, in cui equilibrio e armonia rientrano come due concetti fondamentali. Determina uno spazio in espansione dilatato e dilatabile!
Bilanciamento tra razionale e irrazionale… che siano le tue opere un punto di riflessione tra precarietà e sicurezza?
Viviamo in un mondo in cui sono totalmente crollati i valori tradizionali, in cui non esistono più sicurezze. Non esiste più un binario rigido ma solo strade precarie, si rischia il tracollo: tuttavia ora siamo in grado di prendere delle decisioni più liberamente, senza preconcetti e tabù, solo seguendo il nostro istinto, o la nostra ragione, grazie a quella che è la conquista migliore dell’uomo, la libertà di scelta. La mia visione è ottimistica e positiva.
A proposito di ottimismo, cosa mi dici della scelta del rosso per le tue sculture? Kandinskij lo definiva un colore “vivo, acceso ed inquieto” collegandolo al tema dell’energia vitale…
Il rosso è un colore segnaletico, visibile, facilmente distinguibile. I lavori vecchi erano solo in acciaio inox, che grazie ai riflessi delle luci, si trasformavano in strutture cariche di energia. L’acciaio riflettente è un materiale perfetto per un contesto pulito, sgombro, senza disturbi. Nel contesto urbano, invece, pieno di stimoli visivi i riflessi si perdono e sminuiscono l’importanza dell’opera, che invece vuole e deve distinguersi, allora ho scelto il rosso per la potenza del suo colore anche in natura, un colore eccitante, potente e positivo!
Il pendolo invece? È legato al concetto di tempo e moto?
In realtà quello che mi interessa principalmente è il moto. Le piccole dimensioni delle putrelle montate su degli assi, permettono di mettere in moto con piccoli gesti l’intera scultura sprigionando quindi quei concetti di leggerezza, movimento e volatilità che le persone non si aspettano dall’elemento in ferro, che solitamente è statico e rigido.
Dunque ancora si torna alla dicotomia tra razionale e irrazionale a quell’alchimia “artistica” capace di “trasformare” peso, equilibrio, statica, stabilità in altro… costruisci volumi articolati a favore di una leggerezza tanto strutturale quando poetica…
Quando pensiamo alla scultura pensiamo sempre a un blocco da forgiare, io rinuncio alla massa e ai volumi, il mio è un linguaggio composto da segni. Le mie sono opere fatte di una materia dura che si contorce e altera. Questo mi affascina, così come le contraddizioni…
Partiamo dalla tua biografia: sei nato a Malles e ora vivi a Rifiano. Cosa ha significato per te culturalmente crescere e formarti in un territorio di frontiera?
Ho sempre considerato un privilegio essere nato in Alto Adige, in un luogo di incontro tra due culture, con possibilità di contatti sia verso il mondo d’oltralpe sia con quello italiano. Goethe diceva che solo conoscendo una lingua si entra pienamente nella cultura corrispondente e per me vivere qui ha corrisposto a questa possibilità di conoscenza.
Il tuo modo di operare ha a che fare formalmente con la creazione di legami, attraverso forme che si proteggono a vicenda o che si protendono per raggiungere nuove realtà. Pensi che ci possa essere una connessione tra questi aspetti e il luogo in cui vivi?
Legame, collegamento, connessione sono parole che si riferiscono a sculture dove elementi metallici abbracciano blocchi di vetro, pietre o elementi di acciaio. Le forme e le realtà compenetrandosi si chiariscono, si illuminano a vicenda. Girare intorno a un nucleo, a un problema, valutandolo e illuminandolo da tutti i lati corrisponde ad un avvicinamento, a una visione più completa e profonda di un fenomeno, non per postulare una verità assoluta ma per tentare di com-prendere.