Ho cominciato a fotografare negli anni Sessanta, colpito da tutto ciò che mi circondava: tramonti, riflessi etc, eventi naturalmente belli, che tutti potevano osservare; di conseguenza ero un riproduttore, non antora inventore di un mio linguaggio; dietro la macchina fotografica non c’era ancora l’uomo.
Poi sono passato alle cose: muri, materiali, oggetti, paesaggi, fino a una progressiva essenzialità del mio discorso, che penso coerente nella sua successione. In questo momento cerco, giustamente, di sintetizzare l’immagine in modo da infondere quella forza che mi fa sentire l’uomo dietro la macchina fotografica e non un riproduttore, nè tanto meno un produttore di immagini al servizio di un oggetto sofisticato. Cerco sempre, nella mia misura, di avere un rapporto nei confronti dello strumento che uso, come quello che sussiste fra lo scrittore e la macchina da scrivere.
Da questo si può capire che io desidero comunicare al lettore delle mie immagini una sensazione d’analisi di quello che mi circonda e che distrattamente non sappiamo cogliere.