I Tutti Santi
Tutti Santi è un ciclo di opere di dimensioni 42 x 29,5 cm, a tecnica mista su carta, che Manfredini inizia nel 2007.
Un colore nero estremamente denso dà vita a figure umane, croci, alberi, cuori, accompagnati da frasi brevi ed enigmatiche.
Un albero nero è coronato da foglie-croci, che in un’altra versione delineano sulle estremità dei rami spogli la scritta “dimenticare”; una scala termina con due croci.
Le figure umane, pregne del denso colore nero che le rende simili a fiamme sfuggenti stagliate sullo sfondo neutro, prive di qualsiasi particolare anatomico, sono legate a un’iconografia di matrice religiosa: esse recano l’aureola, sono personaggi solitari che sembrano meditare stanti, circondati dal nulla.
L’allestimento delle singole opere prevede inoltre che alcune di esse siano associate ortogonalmente, creando una croce sulla parete dello spazio espositivo.
Ancora una volta Manfredini sceglie il buio e la luce: il nero è l’unico colore deputato a dar vita alle raffigurazioni, la luce è il colore neutro dei fogli di carta usati come supporto.
C’è poi un nucleo di opere che Manfredini realizza dal 2008, su fogli di carta bianca formato A2, sempre con tecnica mista, dai toni decisamente più forti.
Protagonista di tutte le rappresentazioni è ancora l’uomo, personificato nella figura dell’artista stesso: due figure maschili massicce, identiche nella posa, camminano nude di spalle; quella di sinistra porta l’aureola, i suoi contorni sono delineati da pochi tratti a matita nera ed è alleggerita rispetto alla sua gemella sulla destra, dai toni grigiastri.
Lo spirito sotteso a questa raffigurazione è il medesimo del ciclo Tutti Santi: ogni uomo percorre il suo calvario quotidiano, ma esiste per lui una possibilità di riscatto nell’aureola che lo rende santo.
Tre fogli sono costituiti da fotografie di sculture rappresentanti il crocifisso, che Manfredini ritaglia e incolla sulla superficie; sovrapponendo poi un foglio trasparente di carta velina, l’immagine viene modificata attraverso una sovrimpressione a matita, che va a definire i contorni leggeri del corpo di Cristo: le braccia inchiodate alla croce si abbandonano lungo il corpo, le gambe da tese si flettono. Il corpo deposto del Cristo ormai inerme riacquista energia, pronto a spiccare il volo. Nel terzo foglio le gambe si rannicchiano e la reiterazione del movimento delle braccia, che stavolta restano allargate ma vengono rappresentate più in basso, fa pensare a un battito d’ali.
Manfredini spiega che queste tre rappresentazioni sono connesse a un concetto di trascendenza: dal corpo di Cristo si libra una figura trasparente, leggera, che è una nuova forma di vita.
C’è poi un’opera in cui la sagoma di Gesù Cristo viene ripetuta dall’alto in basso, da nera silhouette crocifissa si trasforma in una fotografia in bianco e nero, il corpo ormai deposto dalla croce, il volto completamente cancellato col colore nero. Volto che ricompare nella terza figura in primo piano, ancora una volta il Cristo deposto, rappresentato però in scorcio prospettico frontale.
Il crocifisso inchiodato a una croce invisibile, personificato nella figura dell’artista – dell’uomo dal volto nero, compare in altri due fogli, isolato al centro della composizione, associato al cognome “Manfredini”, che occupa con evidenza la zona sottostante, o accompagnato dai torsi di altre due figure robuste.
L’ “anomalia” di queste crocifissioni, devianti dall’iconografia tradizionale, sta nel fatto che il corpo è rappresentato completamente nudo e il pene è in erezione.
Audace, Manfredini. C’è chi non esiterebbe a definirlo blasfemo o a condannarlo come eretico persino ai giorni nostri.
L’artista si mette in scena, nella geometria di un corpo che si fa croce e fallo.
Ancora una volta l’arte irrompe nel reale e diviene visibile attraverso lo scandalo, che quasi sempre ha a che fare con la moralità, con la sessualità, con le norme, con l’interdetto.