In vista della personale con cui la Galleria Melesi di Lecco apre la nuova stagione espositiva, abbiamo colto l’occasione per incontrare Pino Deodato per una breve intervista in cui ci ha dato spunti per una ricognizione sulla sua lunga carriera e sull’essenza della sua poesia e ricerca. Le nuove opere s’inseriscono, pur con visioni diverse e suggestioni altre, in quel classico lessico figurale con cui Deodato afferma l’orizzonte “panoramico” delle sue e nostre emozioni.
Le immagini, dipinte, disegnate, scolpite, rivelano sempre una forte e silente essenza pacificatrice, che assorbe lo sguardo trasferendolo in un viaggio immaginifico da una realtà contingente al territorio onirico dei sogni.
Lo spostamento del nostro abituale punto di vista fa allargare, nei suoi lavori, le traiettorie delle prospettive abituali i cui limiti sono ora più sensibili e ricettivi di quelle tensioni che, con garbo e franchezza spontanee, rendono possibile a qualunque osservatore l’amplificazione emotiva, partecipata e sentita, di un altrove riconciliante per il corpo, la mente e l’anima.
Come hai iniziato la tua avventura nel mondo dell’arte? Ci racconti brevemente la tua esperienza che so aver avuto un legame forte anche con gli ambienti francesi…
Nei primi anni ‘70 ho frequentato l’ambiente artistico parigino e conosciuto parecchi artisti della mia generazione, con i quali ho partecipato a diverse edizioni del Salon Jeune Peinture. In quegli anni gli artisti più giovani realizzavano opere con un forte contenuto socio-politico. Sempre negli anni ‘70 ho rappresentato la giovane pittura italiana in due mostre a Lisbona e Oporto, dopo quella che allora fu chiamata la Rivoluzione dei Fiori.
Quali sono gli artisti, tra arte e letteratura, che hai come modello? Quali sono stati e sono i tuoi punti di riferimento poetici e iconografici?
Antelami è stato per me una grande ispirazione. Riproducevo le sue opere quando da ragazzo frequentavo la Scuola d’arte. Sue tracce sono rimaste nella postura dei miei personaggi. I miei grandi amori sono Giotto, Fausto Melotti e Caspar Friedrich. Per quanto riguarda la letteratura, quella popolare fatta di folklore, storie, favole, metafore è per me una fonte d’ispirazione. Anche la letteratura Zen ha avuto una forte influenza nel mio modo di pensare il lavoro. Il cinema, con Buster Keaton e Charlie Chaplin, e il teatro hanno avuto un grande impatto sul mio modo di concepire le opere. I miei personaggi, infatti, sembra si muovano su un grande palcoscenico teatrale.
Da cosa ti lasci ispirare? Cosa determina la tua vena creativa?
La vena creativa viene alimentata dal lavoro di tutti i giorni. Mi considero un grande lavoratore, sempre immerso nell’antro del mio studio. Le più belle esperienze artistiche sono nate dal vivere a fianco e con le mie opere. Un’altra fonte d’ispirazione è l’osservazione della realtà: ad esempio le posizioni precarie di alcuni personaggi delle mie sculture sono nate dall’osservazione dei movimenti di bambini e ragazzi durante gli anni di lavoro a scuola come insegnante.
I tuoi lavori spaziano poi tra tecniche diverse (scultura ceramica, disegno, pittura, …), eppure, uno con l’altro, sembrano lasciar fluire un racconto unitario, coerente che attraversa gli anni della tua ricerca. Quanto conta questo coerente legame nella tua visione complessiva del mondo, dell’arte e delle suggestioni che racconti e che solleciti?
È una domanda molto complessa a cui cercherò di rispondere in modo semplice. Penso che viviamo in un mondo profondamente ingiusto, con forme di violenza e sopraffazione da parte di pochi nei confronti di molti. Un mondo in cui si violano continuamente diritti umani, un mondo di censure e di libertà spesso negate.
L’arte, essendo una sovrastruttura, certamente non può cambiare il mondo, ma può contribuire ad attribuirgli bellezza. In questo senso il mio lavoro non è di denuncia, ma vuole offrire spunti per una “rivoluzione gentile”.
Immaginazione e realtà come si compensano e intrecciano nelle tue esperienze?
Se per esperienze di realtà si pensa al quotidiano, credo che tutto quello che succede intorno a me condizioni certamente il mio lavoro. Io cerco in ogni modo di raccontare la realtà, esasperando ed esagerando alcuni suoi aspetti, conducendo lo spettatore verso un mondo fantastico e immaginifico.
Rispetto al tuo lavoro si scrive e si parla spesso di “realismo magico”: ti ritrovi in questa definizione? Cosa significa per te?
Qualcuno ha parlato di “realismo magico”, ma non mi piace che il mio lavoro venga etichettato, anche perchè credo sia impossibile inquadrarlo esattamente in una corrente. Non mi trovo quindi molto in questa definizione. Se proprio devo definirmi, mi sento un contastorie!
Memoria, sogno, apparizione, idea, … sono i codici visionari che definiscono il lessico delle tue opere. Come si legano, alla vita reale, i mondi che crei?
Il punto di partenza è la vita reale. Mi muovo dal vissuto per arrivare ad una dimensione onirica. Provo a raccontare esperienze e fatti concreti traducendoli con un linguaggio essenziale e suggestivo.
Le tue opere spingono verso un altrove che supera la concretezza da cui si originano. Dove o a cosa punta il tuo sguardo? Cosa vuoi dare allo spettatore?
Cerco di sollevare lo spettatore in modo da osservare il mondo dall’alto e permettergli di intravedere orizzonti più lontani.
Che ruolo spetta all’artista di oggi? Che impegno deve avere?
Il ruolo dell’artista, secondo me, è quello di raccontare cose complesse in modo semplice, al fine di raggiungere un pubblico vasto. In questo senso, se proprio devo dare un’etichetta al mio lavoro, lo definerei “nazional popolare”.
Cosa si troverà nel futuro di Pino Deodato? Cosa ti auguri?
Mi auguro che tutto il mio lavoro e i miei sforzi contribuiranno ad aggiungere qualcosa di nuovo al mondo dell’arte e alla società.