BEN VAUTIER, Il n’y a rien a voir
Ben VAUTIER
Il n’y a rien a voir
Inaugurazione: sabato 7 febbraio | ore 18:30
Durata: 7 febbraio – 4 aprile 2004
Nato nel 1935 a Napoli, Ben risiede a Nizza dal ’49. Nel ’55, cercando una forma astratta nuova e perché no scandalosa, trova quella della banana (o calzino…). Poco dopo, si lega ad Arman e Klein e nel ’58, la sua bottega di dischi d’occasione diventa luogo d’incontro, di discussione e di esposizione. È l’epoca in cui nasce la scuola di Nizza: egli osserva la concorrenza tra le idee e le lotte per la notorietà, dove individua i potenti impulsi dell’arte. Tenendo conto di Marcel Duchamp e del Ready Made, Ben definisce i criteri che, secondo lui, convalidano un’opera: la novità e l’esaltazione-trasformazione dell’ego. Da allora si appropria di tutto firmando sistematicamente ciò che non è ancora firmato (Dio, i buchi, la sua stessa firma). Nel ’62, invitato da Spoerri alla Misfits Fair di Londra, vive quindici giorni nella vetrina della Galleria One. George Maciunas (promotore di Fluxus) lo invita ad unirsi al gruppo Fluxus, nel quale egli diviene un ardente protagonista a Nizza: azioni di strada, creazione del Teatro Totale, accettazione della realtà come arte. Egli fissa il pubblico, con accanto a lui il pannello “Regardez-moi, cela suffit”, e definisce degli atteggiamenti (“Passer une bonne journée”, “Ne pas parler”) come opere. L’attività multiforme di Ben si divide in numerose pubblicazioni (dove classifica gli artisti, denuncia gli intrighi e accumula i pettegolezzi, che costituiscono “la base dell’iceberg, una chiave importante per capire la storia dell’arte”), in organizzazioni di dibattiti (i “pro e contro” degli anni ’70), nel sostenere i giovani artisti (perché sono sempre i primi a scoprire il nuovo) e, aspetto più conosciuto, in scritture (su tavole, tele, banderuole…) dove ci consegna le sue verità (soggettive: “Je suis jaloux des autres” o oggettive: “Cette toile pèse quatre kilos”) con una calligrafia volontariamente infantile. Ben elabora anche degli oggetti, sculture, collage, ambienti… “Questa volontà di “tutto dire” ha al contrario la certezza di non avere mai detto abbastanza: l’ironia può essere la maschera di un’angoscia a fronte della domanda “Come – e perché – ostinarsi a produrre delle opere d’arte oggi?” Se ci sono, come si lamenta, troppi oggetti d’arte, la soluzione può consistere nella difesa di un’arte d’atteggiamenti, o a lottare per il riconoscimento delle culture etniche – ed è anche a questo che Ben si dedica da molti anni.

In mostra saranno presentati 14 lavori su tela di cui nove eseguiti dal 1970 al 1974 (“J’ai voulu abandonner l’art mais j’en ai fait de l’art” del ’70 appartenente al ciclo “autocritica”, “Passer inaperçu” del ’71 dal ciclo “esercizi sull’ego”, ecc…) e cinque lavori recenti degli anni ’90 (“Lève-toi et marche” dai testi della Bibbia e ancora “Se tutto è arte non c’è bisogno di arte” del ’94 unico lavoro esposto con la scritta in italiano).
