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Gnomoni e Terracotte africane

GRAZIA VARISCO

e terracotte africane

Durata: 7 dicembre 2000 – 4 febbraio 2001

Grazia Varisco Gnomoni
Grazia Varisco installa gli Gnomoni in galleria.
Grazia Varisco Gnomoni

Grazia Varisco (Milano, 1937) che negli anni Sessanta ha iniziato la sua esperienza artistica in seno al Gruppo T di Milano (con Anceschi, Boriavi, Colombo, e De Vecchi) prosegue la sperimentazione sui fenomeni ottico-percettivi in modo autonomo. Tali studi sono condotti utilizzando strutture plastiche lontane dai tradizionali supporti e nell’intento di creare un’opera aperta ad ogni stimolo percettivo e capace di interagire con l’osservatore visto nel nuovo ruolo di agente attivo dell’opera stessa.
In mostra vengono presentate due installazioni di “Gnomoni” che documentano una delle esperienze legate all’operazione della piega, analizzate a partire dalla metà degli anni Settanta. La piega non è intesa come la risultante di un atto meccanico, bensì come motivo generatore di diverse esperienze percettive nell’osservatore; le pieghe indagano dilatazioni spazio-temporali di superfici, l’interazione tra luce ed ombra sia sul piano che nella tridimensionalità.

Accostate alle strutture di Grazia Varisco, verranno proposte delle straordinarie terrecotte del Mali (regione dei laghi) della tipologia detta dei “piedi di letto” datati dal 1500 al 1600 d.C.. Oggetti misteriosi che quasi sicuramente hanno avuto funzioni domestiche e si suppone derivino da statuette votive acefale con le braccia sollevate al cielo, di ascendenza punica o cretese del periodo minoico, o forse dal “seggio di maschera” Dogon, specie di gruccia a forma di Y che rappresenta il corpo dell’Antenato, la cui testa è simbolicamente sostituita dall’uomo che vi sta seduto.

Gnomoni di Grazia Varisco e terracotte africane
Gnomoni di Grazia Varisco e terracotte africane
Gnomoni di Grazia Varisco e terracotte africane

Implicazioni

II rigore delle convenzioni della geometria è alterato, reso quasi indecifrabile per effetto della semplice operazione del piegare, lungo il perimetro di un quadrilatero, una porzione dei lati. II perimetro si snoda; sotto il nostro sguardo, la geometria, da piana, diventa tridimensionale, spaziale, in modo intrigante, intricato. Il piegare, la piega (operazione già esercitata in lavori precedenti con altre funzioni) nell’uso quotidiano della parola può far pensare a qualcosa che si abbassa, che si schiaccia: ripiegamento, complicazione… qualcosa di negativo insomma. In francese è diverso: plié, demi-plié  – termini usati nelle figure della danza – pur avendo lo stesso significato, definiscono una forma della lievità, evocano il movimento nello spazio.

In questo lavoro, in queste «implicazioni», la piega solleva, la forma si alza, anima lo spazio «vuoto», non lo occupa, lo «implica» attraversandolo. Si produce qualcosa di insospettato, qualcosa che il gioco delle ombre proiettate dilata mutevolmente: l’effetto di sfasamento dello spazio si moltiplica, «implica» lo spettatore nei suoi spostamenti. L’ambiguità che ne deriva prende, cattura, «intrappola» lo sguardo, invita, vorrebbe condurre lo spettatore a un abbandono divertito o a un attento controllo visivo nell’uso della struttura. Per me, questo lavoro è l’occasione per un’esperienza insolita dello spazio fisico, dello spazio mentale, del suo esistere, del suo possibile dilatarsi, del suo essere disponibile al mio respiro e al mio sguardo, del suo accogliere il mio muovermi.

Grazia Varisco