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Appunti

Pino Pinelli

Anni ‘70. La mia attività di artista mi porta seriamente a riflettere su che cosa è proprio della percezione e su cosa invece del significare. La percezione, eliminando tendenzialmente la sensazione, ha bisogno di un momento di riempimento, il quale non può essere prodotto che dalla percezione stessa. Oltre il concetto dell’intenzionalità tento un riempimento visivo dell’intenzionalità.
Ho rinunciato in questa situazione di pittura ad un elemento portante, che è l’impatto di apparizione, e sul piano dimensionale, e sull’uso del colore, che da squillante e luminosissimo, diviene un non colore, in cui il colore è accolto tutto per trasformarsi in “oltre”.

Per quanto riguarda la mia pittura in particolare, dopo il ’76 quando ho rotto il concetto del quadro ed ho iniziato i lavori sulla disseminazione, è passata attraverso una serie di strettoie: quelle del riportare la pittura ad un senso del dipingere, ossia al dramma dell’artista europeo e quindi italiano che avverte il peso della storia e che pensa che l’unico processo possibile sia più quello di pensare alla pittura che quello di fare (che ha ancora come ultimo possibile destino quello di privilegiare l’idea della pittura che non la pittura stessa).

Pino Pinelli e Sabina Melesi
Pino Pinelli e Sabina Melesi ad Arte Fiera 2009
Sabina Melesi con Pino Pinelli
Sabina Melesi con Pino Pinelli
Sabina Melesi con Pino Pinelli (Arte Fiera 2006 Bologna)

Nell’80 questa pittura riattinge nella propria storia (come sempre accade, un artista guarda nel pozzo della sua casa e da lì riattinge acqua) si ricarica di colori fondamentali, di frammenti (ormai sono scaglie, disseminazioni che si avventano lungo la parete, lungo la soglia dell’infinito che è l’ultimo destino possibile per me) e, via via, passa attraverso una serie di processi ingravidando la pittura di forme mosse (siamo già nell’85) che sembrano come alterate dal calore della mano, fino ad arrivare alle ultime opere che sono scaglie, frammenti di un frammento, come se noi lottassimo all’interno dell’atomo, come se potessimo ancora suddividere l’atomo, farlo scoppiare. Non c’è dubbio che gli artisti si portano sempre il carico delle proprie esperienze, del proprio mondo, delle proprie divine proporzioni. Ritengo che la pittura della nostra generazione mai come in questo periodo sia “in forma” nel senso che c’è un continuo ricercare; io credo di essere un artista che non ha prodotto della monotonia: ho sottoposto il mio lavoro a tutta una serie di passaggi, allargamenti e restringimenti. Adesso più che mai sono interessato a questo discorso dell’infinitamente piccolo, della

scaglia che per contro mi si ingrandisce e mi si dilata, quest’idea di andare a scrutare oltre l’idea del conoscibile. In fondo quale è il destino dell’artista? È quello di essere come un guerriero cieco, un essere che rovista nel proprio grembo cosciente del proprio ignorare e in qualche modo ritira fuori da questo grembo continua energia.

 

Quindi io vedo una pittura particolarmente in salute e con questa immensa vitalità, e con questa capacità di andare a vedere non solo un aspetto mentale, raffinato, ma anche quanto di più profondo esiste in questa parte della ragione, del proprio essere e del proprio fare che in passato avevamo castigato. Accade questo forse perché un artista con la maturità assume questa idea di sicurezza, come un pugile che finalmente impara a stare su quadrato, sa condurre il proprio incontro e si libera dalle eccessive castigatezze.

Pino Pinelli

Pino Pinelli e Luigi Erba
Pino Pinelli e il critico Luigi Erba alla seconda mostra personale dell'artista in galleria (febbraio 2003)
Pino Pinelli con Sabina Melesi
Pino Pinelli con Sabina Melesi (Arte Fiera 2007)
Matteo Galbiati, Sabina Melesi e Pino Pinelli
Il critico Matteo Galbiati, Sabina Melesi e Pino Pinelli alla vernice della mostra Anni '80 in galleria (marzo 2007)
Il critico Giorgio Bonomi e Pino Pinelli
Il critico Giorgio Bonomi e Pino Pinelli

L’immagine, nella mia opera, si costituisce nei suoi elementi cardine: colore, campo, linea, luce che si compenetrano gli uni negli altri in un tessuto compositivo totale.
Il colore perde ogni caratteristica simbolica propagandosi come emanazione luminosa nella sua fisicità.
Tendo a stimolare nell’osservatore una disposizione a percepire l’opera in un ambito non solo visivo ma anche tattile… Ciò che svela l’espressione è la tattilità con cui il referente partecipa.
Il ridurre l’opera a pura intenzione, il riempire l’intenzione di un elemento quantitativo di ridotte proporzioni, mi consente la dislocazione di questi “punti” di tensione in relazione più diretta e più propria con la parete, che perde la caratteristica di destinatario passivo dell’opera, e di entrare in rapporto di interazione continua (relazione totale).

Allestisco le mie personali, soltanto dopo essermi impossessato fisicamente e psicologicamente dello spazio della galleria a mia disposizione.

Le tensioni e le pressioni delle attività mentali generano come effetto dell’interazione delle loro forze, una tensione e un’eccitazione (emozione), che mi spingono a una totale partecipazione sia fisica che mentale. Considero l’emozione, non come un aspetto particolare dell’esperienza, ma come un elemento di qualsiasi esperienza. Sentire. Toccare. Vedere. Fare e Pensare. Pensare e Fare.
L’interpretazione dell’Arte non sta solo nell’Arte (poiché essa è) ma in coloro che la discutono. Bisogna accostarsi all’Arte, e reagirvi immediatamente come ad un’esperienza presentazionale o di tipo intuitivo. L’Arte ha potenzialmente grandi capacità evocative: la sua aniconicità irrappresentabile trascende i limiti dal contenuto letterale, li attraversa incessantemente.

Pino Pinelli
Pino Pinelli ritratto da Stefano Pensotti (1996)