Opere dal 1965 al 1991
TINO STEFANONI
Opere dal 1965 al 1991
Inaugurazione: venerdì 4 ottobre dalle ore 18.30 alla presenza dell’artista
Durata: 4 ottobre – 3 novembre 1991
Il processo di ricerca di Tino Stefanoni, pur nella diversa fenomenologia delle opere – ben evidenziata da questa mostra che raccoglie una esauriente campionatura della sua produzione dal 1965 ad oggi – è caratterizzato da una coerente quanto meticolosa indagine nel territorio dell’oggettuale.
Il microcosmo delle cose, la conseguente inutilità in cui sono confinate dall’usura della consuetudine, costituiscono, da sempre, il nucleo della sua analisi.
Il metodo analitico applicato secondo registri suscettibili, nel corso del tempo, di variazioni – nella scelta degli strumenti espressivi, delle tecniche, dei materiali – ma pur sempre misura di una continua e rinnovata affezione nei confronti delle cose.
Non vi è, infatti, alcuna differenza concettuale, se non quindi meramente morfologica, tra l’oggetto “penna” (ne Le penne del 1973) e l’oggetto “scrivania” (ne La scrivania del 1971, piastra guida per la ricerca delle cose), o ancora tra l’oggetto “tazza” (ne Le tazze del 1968) e gli oggetti “casa-albero-bandiera” (presenti nei paesaggi degli anni ’87-’88).
Gli oggetti sia isolati, sia reiterati – per potenziarne la stereotipia – sia accostati, vengono estrapolati dalle logiche circostanze di appartenenza ed in tal modo perdono la loro originaria funzione d’utilizzo, diventano altro, prescindono dalla presenza dell’uomo e dal suo urgente pragmatismo.
Nella dimensione intima delle cose di Stefanoni, non esistono né tempo né spazio, le nostre coordinate per verificare lo scorrere dell’esistenza, ma esistono il tempo e lo spazio delle cose,in una dimensione che è puramente astratta.
Gli oggetti sono fuori da ogni contesto narrativo; il loro ruolo non è raccordarsi al reale, non raccontano, non arredano, non descrivono.
Il loro ruolo non è soddisfare una realtà circostanziale, ma altresì svelare la loro intima essenza.
Cercare l’essenza delle cose significa quindi spogliarle della loro originaria funzione, oggettivizzarle a tal punto da rendere, prima di tutto la loro pregnanza concettuale.
Nel lavoro recente di Stefanoni, gli oggetti si trovano talvolta insieme sulla tela. Costituiscono schegge narrative.
Sono le medesime cose, talvolta altre, la cui presenza è però scaldata dal colore.
Da una presenza grafica ieri, ad una presenza più propriamente pittorica oggi, gli oggetti associati in brani paesaggistici non risentono di alcun languore narrativo, pur non celando nella soffusa e scenografica presenza della luce, una maggiore partecipazione emotiva.
Ma il registro emozionale non è quello ideale per accostarsi alle opere di Tino Stefanoni, così sempre saldamente ancorate alla loro sintesi grafica e formale.
Eppure, rispondendo per un attimo alla sollecitazione sensoriale determinata dal colore, quelle “cose” divengono evocatrici di atmosfere oniriche, e perché no, di altre a noi più familiari.
Monica Gibertini