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Appunti

Luigi Erba

Fu sino alla fine degli anni 80, quando lavoravo sul tempo accostando un’immagine all’altra, che cominciai a concentrare i segni del mio territorio come in una tavola ritrovata nella memoria.
Era un concettualismo lirico che voleva parlare in modo individuale del mio ambiente, attraverso segni che facevano parte di me. Così mi accorsi che avevo compiuto un viaggio a ritroso nella stessa genesi della scrittura. Volevo poi decisamente staccarmi dell’asetticità dell’immagine di territorio partendo da una materia per giungere concettualmente alla sua immaterialità o, per dirla con Calvino, “leggerezza”.
Proprio in quegli anni iniziavo ad esprimermi attraverso gli interfotogrammi, più istintuali, in cui veniva messa in discussione la progettualità in nome di una casualità di ripresa che ridava senso al mezzo, all’occhio tecnologico.

Più che vedere, desideravo: delle immagini mi appropriavo dopo in sede di provinatura a contatto e mi accorgevo che lo scatto non era più unico, ma un momento prolungato all’infinito. Era il gesto di fotografare che rimetteva in discussione il prima e il dopo e mi introduceva in un mondo di relatività. Cominciai poi a sovrapporre nel rullino un luogo sull’altro in momenti e tempi diversi. La fotografia non congelava più, ma si dilatava in una casualità costante… era, diventava sempre di più una manifestazione imperfetta, provvisoria, mai un’espressione precisa di ciò che rappresentava. Non andava oltre il suo accadere e avrebbe potuto essere diversa, poi diversa ancora e in un altro luogo. La tecnologia delle casualità diventava l’essenza emozionale del mezzo e di me stesso.
Luigi Erba (7/11/2000)

Luigi Erba foto
Luigi Erba foto

…Molto spesso, pensando al mio lavoro Interfotogrammi, mi sono accorto di un’analogia con dei versi di Magrelli: “Io non conosco/ quello di cui scrivo, ne scrivo anzi/ proprio perché lo ignoro…” e in un’altra composizione… “La miopia si fa quindi poesia…” *Chiedendomi poi il perché della costanza di certi risultati casuali, questi si rivelavano come ciò che l’occhio non aveva visto, ma l’inconscio desiderato; delineavano una storia sotterranea, una diversa memoria… Quante volte, dopo anni, mi sono impadronito di una situazione di cui non mi ero mai accorto, ma certamente desiderata…

…Forse c’è una mente che regola l’inconscio, come il mutare delle cose.

Fotografo. Uno scatto dopo l’altro, uno scatto a causa dell’altro. Dov’è l’immagine? Il rettangolo che ha registrato il colto è l’aspetto meno interessante della faccenda: una percentuale impalpabile rispetto al non visto.
E’ quell’interstizio nero tra un fotogramma e l’altro, non impressionato dalla luce, che mi interessa sempre di più. La relazionalità tra il visto e l’inafferrato di cui, forse, domani mi approprierò…
Luigi Erba, Nel ripostiglio dell’immaginario, Lecco – Como 1992
*Valerio Magrelli, Ora serrata retinae, Milano 1980

Luigi Erba
Luigi Erba
Luigi Erba e Sabina Melesi
Luigi Erba e Sabina Melesi (artVerona 2007)